Estratto del saggio
(...) nel lavoro di Alessandro Brighetti, stupore e meraviglia hanno un ruolo importante. Se così non fosse, la scelta di usare i ferrofluidi, nel corpus principale della sua opera recente, sarebbe quantomeno temeraria e pericolosa. Questo liquido nero, lucido e denso, prodotto di una mistura di nanoparticelle di ferro avvolte da un tensioattivo ionico e poste in soluzione oleosa, è infatti un medium ingombrante, capace, nelle mani sbagliate, di divorare letteralmente l'opera. Magico e affascinante, nel suo comportamento ambiguo di liquido sensibile alle sollecitazioni magnetiche, il ferrofluido vuole essere il messaggio. Quando non lo è, come è evidente nelle opere di Brighetti, va usato con maestria per evitare che diventi l'oggetto esclusivo delle attenzioni dello spettatore, sollecitando il suo stupore infantile.
Questa maestria Brighetti la possiede, e la possiede - verrebbe da dire - paradossalmente, perché le sue preoccupazioni non sono esclusivamente quelle di un artista visivo che si cimenta con un materiale inedito. "Artista sperimentatore", [10] Brighetti, che mette a punto i suoi ferrofluidi con l'aiuto di un amico chimico, studia il suo medium con accanimento e dedizione, ne conosce le proprietà nei minimi dettagli, si appropria della scienza che serve per dominarlo, e ne approfondisce la conoscenza a un livello che va al di là del suo uso strumentale. Sposa le preoccupazioni e le ambizioni di un fisico, e dichiara: "Mi affascina l'altro e il non-ordinario. Voglio andare oltre la percezione, oltre i limiti fisiologici dell'uomo. Voglio indagare l' "ultra" e l' "infra": ultrasensibile, ultravioletto, ultrasuono, infrarosso…" [11]
Si sporca le mani.
Ma è proprio questa conoscenza profonda del mezzo che gli consente, in una seconda fase, di distaccarsene e di usarlo in modi che trasferiscono la meraviglia altrove. Si prenda, ad esempio, Nabucco (2013). Impossibile pensare, di fronte a quest'opera solida e maestosa, che si tratti di un dispositivo che dispiega un facile trucchetto da baraccone.
Non è il ferrofluido a catalizzare l'attenzione, ma il modo in cui diventa parte dell'opera, il modo in cui introduce la velocità e il movimento in questa struttura imponente, il modo in cui bilancia la sua presenza materica con la leggerezza e l'eleganza del suo fluire: il modo in cui porta la vita nella scultura.
In altri casi, come Fertility o Shiver, ci perdiamo ad ammirare il modo in cui la vita prende possesso dell'oggetto scultoreo, inanimato e inevitabilmente un po' kitsch nella sua imitazione fedele di dettagli anatomici umani.
In altri ancora, come in Struggle for Pleasure, nella serie The M 1st Project e nel ciclo di lavori che prendono il nome da psicofarmaci, sono i ritmi ipnotici e la capacità del materiale di dispiegare piccole ma percettibili variazioni pur nella ripetitività dei movimenti a stregare lo spettatore.
Potremmo dire che è il suo essere alchimista a fare di Brighetti un artista. La sua "imprescindibile necessità personale" di confrontarsi con i materiali che usa, anche al livello delle loro proprietà fisico-chimiche, è ciò che poi gli permette di trascenderli e di sublimarli in opere in cui la scienza sparisce e ciò che rimane è la perfetta visualizzazione di un concetto.
Nelle sue parole:
[...] sono completamente sovrastato da entità astratte che mi soggiogano al proprio volere. Mi muovo incatenato in un recinto ben circoscritto che non concede fughe. Sono un subalterno. La fisica si impone, brutale ed egemonica, ed io soccombo piacevolmente ai suoi dettami. La chimica trova il proprio spazio, impiegandolo e plasmandolo precisamente. [...] sono l'ultimo nella scala gerarchica. Sono il mezzo rivelatore di un'estetica della natura, alla quale nulla si può rimproverare. Formalizzo la struttura finale, creo supporti materiali per offrire uno sguardo sulla bellezza di leggi universali. [12]
Note
[10] Chiara Canali, "Alessandro Brighetti. L'artista sperimentatore", in La Stampa, 26 maggio 2011.
[11] Ivi.
[12] Antonello Tolve, "Alessandro Brighetti e un itinerario neogestaltico. Un dialogo", in Art a Part of Culture, 23 maggio 2012.