In "Histoires de Tripes", Ghizlane Sahli ci invita a percorrere un viaggio interiore e organico, su un tema universale, e ci permette di trascendere ciò che normalmente agli uomini sarebbe impossibile vedere, l’ "Universalità", e i suoi meccanismi sofisticati e complessi. Un'universalità che l'artista coltiva su più livelli. Dalla scelta dei materiali, per la maggior parte di recupero - le bottiglie di plastica, la rete metallica che li sostiene o la seta che li ricopre, (che potrebbero provenire da qualsiasi parte del globo), al messaggio che l’artista vuole trasmettere. Ghizlane Sahli infatti non reclamizza né condanna nulla, per lei l'appartenenza è una prigione, e l’identità, una nozione fin troppo complessa da confinare o congelare senza rischiare l'alienazione. A ciò, sostituisce consapevolmente l'esplorazione di ciò che è più fondamentale e comune per l'uomo, la sua origine primitiva, purificata da tutti gli stimmi che ne fanno una distinzione o appartenenza, sia culturale, sociale, religiosa, geografica, razziale o di genere.
In questo scenario spoglio e convulso, solo un impulso vitale continua a farsi sentire, si tratta della volontà dell’artista di dare sostanza al suo soggetto. Tutto inizia con la raccolta di migliaia di bottiglie di plastica, che l’artista pulisce e taglia in alveoli, copre con fili di sabra (seta vegetale), e poi attacca su una struttura a maglie di metallo sagomato. Durante questo processo in cui il "definito" incontra “l’indefinito", l'artista ama immaginare che questi alveoli rappresentino cellule che, aggrappandosi alla membrana metallica, formano una materia vivente e organica. Un meccanismo che spesso sfugge al suo controllo, con un desiderio di abbandono, atteso e confessato. Proprio come quando l’artista si abbandona alle storie di queste bottiglie raccolte, ognuna delle quali, per sua origine, le mani che l'hanno toccata, le labbra che vi si sono appoggiate, racconta la sua storia e arricchisce il lavoro con la sua importanza unica.
Come molti elementi sensoriali che Ghizlane Sahli accoglie nel suo lavoro.
"Sono tutte queste energie, buone o cattive - dipende da ciò che ciascuno ha vissuto quel giorno - da qualche parte, che dettano la forma del lavoro finale, che io non controllo. Questo qualcosa che è fatto e che avviene, come uno scambio, senza che io sia lì per controllare tutto o dirigere, perché ci sono cose che sono fatte, e altre no, è un po ' come la vita”.